Questo articolo è un esile tentativo di difesa da parte del fu Theophile Gautier agli attacchi vaginali di Giselle, women power. L’accusa è di femminismo volontario e de-penalizzazione dei figuri maschili nel balletto Giselle.
E’comprensibile che il fatto che un uomo, uno scrittore, che abbia valori testosteronici nella media assoluta si metta a scrivere un Libretto per un balletto, possa risultare appena donnesco. Del resto, all’epoca (intorno al 1840) le donne al massimo scrivevano la lista della spesa e quindi, se un balletto doveva essere scritto, questo doveva essere scritto da un uomo. E certo anche l’omosessualità, come ci insegna Oscar Wilde (e più tardi il povero Alan Touring, castrato chimicamente – evviva la liberalità britannica), non poteva sfogarsi alla Mucca Assassina. Ed ecco che qui veniamo al punto: era il nostro povero Teofilo un essere umano tendente all’etereo, donna mancata schiacciata sotto il machismo dei suoi organi genitali, senza possibilità di redenzione?
Il nome all’anagrafe non lo concretizza dall’inizio: amante di Dio.
Sognava davvero il buon Teofilo un mondo di pizzi e velette, gossip e crisette premestruali, dove l’odore di sigaro, il passo pesante e i baffi moscati si dileguassero in una qualche foresta rosa comandata dalla fata turchina (in Giselle, Myrtha regina – di origini sarde – delle Villi)? O ancora meglio, voleva davvero essere frustato dalla fata turchina?
Ad un primo esame della sua biografia non emerge niente che stoni. Nasce in un paesino in prossimità dei Pirenei dal quale la famiglia lo trasferisce quasi subito per stabilizzarsi a Parigi. Il ragazzo viene fatto studiare in un ottimo collegio, dove però, lui non riesce ad abituarsi alle vettovaglie, e sfiora il deperimento – con lo stesso eccessivo tono con cui ci si ammalava di invidia e si guariva dalle corna facendo il viaggio in europa. La mamma gli trova un alloggio tutto suo. E lui, paf!, rinvigorisce come un cicciobello avvinazzato.
A Parigi il ragazzo è confuso, prima vuole fare il poeta, poi vuole fare il pittore. Poi vuole fare il poeta, e poi no, vuole rifare il pittore. Nel frattempo, non si sa mai, prova a fare anche il critico d’arte, così fa finta di guadagnare. Poi un giorno esce dalla sua misera dimora vicino Places des Vosges per comprare due banane e chi t’incontra? Victor Hugo! Come uscire dalla propria casetta in Piazza di Spagna e incontrare Moravia. I due condivideranno presto molto…
E passetto dopo passetto ecco che il nostro Teofilo inizia a pubblicare in prosa.
Il suo primo nobile romanzo d’appendice, a noi caro per la magistrale interpretazione di Arnoldo Foà nello sceneggiato televisivo degli anni ’80, è nientemeno che: Capitan Fracassa. Buttiamo un occhio sulla trama del capolavoro.
— Il giovane barone di Sigognac, ultimo povero discendente di una nobilissima famiglia, vive miseramente tra le rovine dell’avito castello. Approfittando del passaggio di una compagnia di attori diretti a Parigi decide di seguirli per recarsi dal re ad implorare un aiuto. La morte, durante una tempesta, di un attore lascia la compagnia in grandi difficoltà, ma Sigognac decide di sostituirlo, utilizzando lo pseudonimo di Capitan Fracassa. Il nuovo personaggio riscuote da subito un enorme successo. Sigognac è innamorato della giovane Isabella, una delle attrici della compagnia, che è però anche appetita dal duca di Vallombrosa, presuntuoso e prepotente. Da quel momento sarà una lotta senza quartiere tra il duca e Sigognac. Dopo qualche rapimento e un duello il principe di Vallombrosa, padre del prepotente, vedendo l’anello che Isabella porta, riconosce in lei la figlia che vent’anni prima era nata da una sua relazione con un’ attrice. Il duca e la ragazza sono perciò fratello e sorella. Isabella potrà quindi sposare il barone che grazie all’aiuto del principe e del duca potrà riconquistare il rango perduto. Alla fine, deus ex machina, Belzebù, il gatto di Sigognac, muore, e sotterrandolo si scopre un tesoro che farà diventare ricco il barone.
Ovviamente è grandissimo successo (al livello di Elisa di Rivombrosa n.d.a.). La deviazione di Teofilo sull’esaltazione del genere femminile riceve un burst eccezionale nel momento in cui si innamora di Carlotta Grisi, futura interprete di Giselle. Lui ci prova spudoratamente e ripetutamente, ma lei è reticente. Le manda fiori, la invita a cena, le regala gioielli. Ma lei niente, esce con altri (tra i quali il suo coreografo). E in ultima istanza decide allora di mettere nero su bianco il suo amore perduto, in un mondo ideale dove non ci sono antagonisti, non ci sono combattenti, ma solo ed esclusivamente femmine gatte morte che non possono reggere il confronto con l’uomo-larva strisciante. Lui stesso, con autostima evanescente, sposa la sorella di Carlotta, ovvero Ernesta, la sorella onesta (che gli regala, suo malgrado, due figlie femmine).
Ormai ossessionato dalla teoria dell’uomo oggetto scrive tali racconti:
–Octavièn, il giovane protagonista di Arria Marcella , estasiato dalla visione del calco di una tetta trovato a Pompei e appartenuto a questa Arria Marcella finisce per avventurarsi tra gli scavi in piena notte e retrocedere attraverso un’ allucinazione fino all’ epoca di Tito, per incontrare questa donna del calco, che finirà inevitabilmente per sparire una volta che sorgerà il sole e finirà il sogno.
— Meiamoun, un giovane egizio che accetta di passare una notte a banchettare con Cleopatra pur sapendo che questa, finita la cena, lo avvelenerà.
— Tiburce, protagonista de Il vello d’oro che, guardando di continuo le donne dipinte sui quadri, decide per capriccio che si deve innamorare di una biondona, e va in giro per tutta l’Europa pur di trovarne una così come Giasone viaggiava per trovare il vello d’oro.
— Octave, un ragazzo che decide di lasciarsi morire dopo essersi innamorato di una contessa bellissima scoprendo che invece è già sposata, ma che poi, con l’ aiuto di un mago, riesce a trasferire atteaverso un rito indù detto Avatar (da cui il titolo del racconto) la sua anima nel corpo del marito della contessa.
E così il nostro Teofilo, pur avendo dato prove lampanti di custodire ingenti quantità di testosterone, continuerà a tenerle frustrate in un cassetto, sublimandole evidentemente con l’aiuto di ingenti quantità di droga ( ricordiamo tra i racconti anche La pipa di oppio e Il club dei mangiatori di Hascisc).
E passerà le sue serate in chiuse “letterarie” con i suoi amici Victor e Charles, il quale, non potendolo pagare al momento, lo rimborserà poi dedicandogli Les fleurs du mal.
Uomo sì, ma drogato bene.
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